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Within Us Without Us

Editor: Fiorella Dorotea Gentile
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Il mondo che abbiamo dentro e il mondo che ci circonda sono la stessa identica cosa, per quanto difficile ci sia capirlo e accettarlo. Gli odi, la malvagità e le guerre sono prima dentro di noi. Ammetterlo è già una vittoria.






 



Da John e Paul a John Paul II:
il grande sì.


Li chiamiamo i luoghi comuni, ma più che luoghi comuni si tratta di cimiteri della verità, banalità che distraggono dal vero, dal giusto e dal buono e attraggono l'attenzione... o dovrebbero attrarre l'attenzione nelle intenzioni di chi dice... su colui che le sostiene. Beauty is in the eye of the beholder, dice un proverbio inglese. Allora facciamo un piccolo passo insieme. Prendiamo John Lennon: qual'è la banalità che salta subito all'occhio?

John Lennon fece troppo denaro: come poteva cantare Imagine no possessions...? facile per lui, che aveva tanto, troppo... e allora era un falso storico, una contraddizione in termini. Non era sincero.

Com'è riuscito John a fare il miracolo di raggiungere i cuori di tanti giovani, prima e dopo la morte? Cosa rende così prezioso l'uomo da attrarre a sé milioni di altri uomini, accendendo nei loro cuori una vibrante fiammella d'amore, una sensazione di benessere, un'intuizione di fratellanza, uno squarcio di consapevolezza sul futuro, un sì?

Contraddizioni... opposizioni: John Paul e John Lennon. Ma cosa c'entra un cantante rock, un laico, con un Papa? Sento già qualcuno gridare alla profanazione, alla bestemmia, ma non è così. Salire a più alti livelli di coscienza, discendere nei meandri e negli abissi dei nostri cuori e delle nostre menti ha bisogno di grande energia. La puoi chiamare vocazione (ovvero qualcuno, qualcosa ti chiama, ti senti portato, vai.)

L'artista si sente chiamato dall'ignoto e attraverso un'irrequietezza mette mano alla materia, la forgia, la piega, ne estrae una forma, un suono, una parola... e il religioso si sente chiamato, è irrequieto, a volte teme, indietreggia, sta forse per pentirsi, ma poi procede, scalino dopo scalino, forgia la sua volontà.

Il suo ascolto, la sua creazione sono più un togliere che un aggiungere. A quel masso di pietra che è la sua personalità toglie il superfluo delle opinioni che cambiano, dei desideri e delle autocommiserazioni, tutto il corredo dei nostri tempi.

Entrambi chiamati, entrambi creatori. Non c'è contraddizione tra quanto siamo, quanto pensiamo, quanto abbiamo e quanto sogniamo di essere e avere, per quanto diversi possano sembrare. C'è continuità, consequenzialità, un cammino di avvicinamento, in mezzo, che può compiersi in un solo secondo o in tutta una vita. Grida allo scandalo solo il pigro, colui che non vuole avvicinarsi alla fiamma, perché teme di scottarsi. Colui, colei, che non accumula la sua legna, non mette insieme i suoi sì, ma preferisce battere i sentieri del no, della paura, della morte... un po’.

John e Paul. I Beatles. Ci fu uno scandalo quando Lennon, in una intervista, commentò che in quel momento storico i Beatles erano più famosi di Cristo, ma era solo un'osservazione. Quello che è accaduto nei giorni della morte di John Paul II allora accadeva intorno ai Beatles. Erano i prodromi dei grandi concerti, che avrebbero raccolto milioni di giovani intorno ad un artista.

Oggi è normale, ma prima non succedeva così. La musica non radunava le folle... forse se ci spingiamo nel passato... era piuttosto lo sport e ancora più indietro i grandi spettacoli, anche quelli crudeli, o le guerre, di religione e non. Guerre che di religioso avevano solo il nome.

I Beatles hanno cominciato a cantare canzonette d'amore; la gente ha cominciato a comprarle e si è sentita attratta da quel colorato sì. Non aveva nessuna importanza chi fossero davvero John e Paul (George e Ringo, in seconda battuta). L'importante era che erano una prezioso collante per i giovani. Erano tutti lì, sempre più numerosi, a fare da specchio a quell'idea, a crederci e diffonderla. All you need is love... una frase semplice, cantata in maniera semplice, vestita di panni colorati e interpretata da visi giovani e un pò maliziosi, ma in maniera accettabile, accattivante...

una prima scintilla di autodeterminazione. È lì che sono nati i giovani (prima non c'erano!) come fronte di rottura, come avamposto di visioni sempre più aperte, cosmopolite, fraterne. Un esercito al servizio della Nuova Consapevolezza. Un esercito multicolore, un po' sgangherato, al servizio di se stesso, com'è giusto che sia.

È seguito tanto. Tanta legna al fuoco. Sono nati nuovi antagonismi musicali, stilistici, nuovi antagonismi politici. Prima tutti insieme e poi si sono dovuti chiedere... di qua o di là ? A sinistra o a destra? In questa maniera o in quell'altra? Ed era importante chiederselo, schierarsi, perché ordinava le tue scelte, ti aiutava a scegliere abiti, professioni e fedi. Ma quelli che sono nati da quella piccola e grande rivoluzione culturale love power, hippie... chiamiamola così... erano nuovi semi. Lucidi e coriacei.

Sì, la violenza ha la sua cittadinanza nel cuore dell'uomo e non si differenzia poi tanto nella forza dall'energia dell'amore, si tratta solo di darle un giusto segno, una giusta direzione.

" Sono un uomo violento, ma lo so." dice John Lennon. Era questo che cominciava davvero a fare la differenza. Una consapevolezza maggiore, una lucidità che sorprendeva, un'ironia nuova, una gioia condivisa nel presente, una specie di edonismo dell'attimo, un nuovo potere allargato delle coscienze. Droghe o non droghe, qualcosa di veramente nuovo si insinuava nella nuova generazione e la scuoteva tutta, chi più chi meno, chi a destra, chi a sinistra, con brividi di eternità e di universalità.

Noi formiche avevamo alzato la testa, c'eravamo guardati gli occhi, avevamo scoperto di essere sotto lo stesso cielo e nella stessa casa.

Una visione degna di Escher? Suona un po' strana, eccessiva. Come se si scomodassero i grandi sistemi per spiegare cose che non li meritino e non li riguardino, ma non è così. Porto la mia testimonianza. Vivevo, sia pure irrequietamente, in una piccola provincia italiana, come tanti giovani in Italia. D'estate fuggivo a Londra, per la lingua e per l'anima: avevo bisogno di scenari più ampi. Chris mi invitò ad andare con lui all'isola di Wight. C'era un raduno di giovani, nella parte non abitata di quell'isola, nello stretto della Manica, proprio sotto. Era un concerto sulla falsa riga di quelli che avevano preceduto: Monterey Pop e Woodstock. Grossi nomi americani e gruppi. Personalmente facevo parte di quei giovani che adoravano da sempre la musica e avevo seguito la produzione dei Beatles e degli altri gruppi pop allora in voga, con qualche tentazione, sempre evitata, di fanatismo. Qualcosa dentro di me bisbigliava che tutto accadeva per me, per una rivoluzione individuale di cui sentivo bisogno, un cammino di affrancamento dalla banalità, ma vagamente intuivo che il terreno era cosparso di mine e che ad ogni passo c'era il rischio di cadere in qualche tranello. Sono sicura che è stato questo il nuovo respiro di una generazione. L'intuizione del nuovo sposata al timore di ricadere come le generazioni precedenti nei dogmi, nelle rigidità, nei no.

Si era finalmente di fronte alla possibilità di dire un grande sì alla vita, all'arte, alla fratellanza, all'amore, pur riconoscendo le differenze tra popoli, mentalità, razze, età e religioni.

Il grande sì è iniziato lì. Si è mischiato alle urla delle ragazzine per il bel faccino di Paul, alla sessualità prima troppo repressa, poi troppo liberata, agli spinelli, alle canne, ai joint, ai reef, alle danze, ai jeans, alle risate, ai pianti, ai dubbi improvvisi, ai nuovi stili, alle contestazioni familiari, politiche, alla nascita di un nuovo impegno sociale, che non erano altro che i rivoli in cui s'incamminava il fiume del nuovo esercito dei giovani. Scendeva al mare, per nuove strade e soprattutto con nuove idee.

Non era ancora una rivoluzione del buono. Era una rivoluzione della mente. Di cosa era giusto o non era giusto, che cosa era auspicabile o no, di cosa convenisse desiderare. Rivoluzione del corpo e della mente, prima che del cuore.

Se contraiamo il tempo in modo da vedere meglio cos'è successo, vediamo il grande corpo dei giovani scuotersi, risollevarsi, raddrizzarsi, vibrare, sperimentare il mondo e incamminarsi.

Coscienza collettiva, si dice, quella che è contemporaneamente in ciascuno e in tutti, nel minuscolo e nell'immenso, nell'intelligenza e nella stupidità. Gradini di crescita. E l'apparente esistenza di due verità è stata il punto cruciale che questo corpo si è trovato a incarnare e a dover risolvere. Un antagonismo trasversale che va dal dualismo più superficiale: Beatles o Rolling Stones? Questa squadra o quell'altra? Conservatore o progressista? Reazionario o rivoluzionario? Di destra o di sinistra?... fino ai grandi antagonismi della storia: sei un borghese o un'artista? Un ricco egoista o un povero buono? Sei un laico o un cattolico? O meglio sei laico o religioso?

Tutte queste contrapposizioni stanno per fortuna diventando obsolete. Sono state utili, come tutte le opposizioni, per creare una frizione tra le coscienze, per tenerle sveglie e attizzare quel fuoco in cui brucia ogni dualismo prima di generare nuovi significati.

E se oggi ancora resistono due aree, che davvero sembrano contrapposte, roccaforte una di interessi individuali, di persone e partiti, l'altra di una aspirazione all'apertura sociale nell'interesse di molti e al posto dell'interesse dei singoli, anche questo fraintendimento funzionale è destinato a cessare.

L'interesse di un singolo non può esistere se non legato all'interesse di tutti gli altri. L'interesse di tutti non può esistere se non liberando la coscienza dei singoli e lasciando che volino in alto le aspirazioni più forti.

E siamo qui arrivati ai giorni nostri.

Per chi ha lavorato sempre nell'ambito della cultura dei giovani è stato come vedere il grande successo di qualcuno sfiorire. I giovani sono nati con i Beatles, hanno predicato con Dylan, ballato con le musiche più folk dei popoli ( l'afro, il reggae, i ritmi latini...) hanno esercitato e sfidato le menti negli anni settanta con il grande rock dei gruppi e si sono consegnati agli U2 per il traghetto verso il futuro, che non c'è stato.

La musica trascinava gioia e parole, intuizioni, colori, speranze e nuove idee. Poi, tutto ad un tratto, è sceso il silenzio. Un attimo prima del temporale, un secondo prima dell'esplosione, la sospensione nella banalità e nella crisi degli anni '80.

Lì si sono consumate molte nuove esperienze, ma per lo più private. Fuori, nessun collante che valesse la pena. E, nell'alternanza tra decenni pieni e decenni vuoti di significato, è cresciuto il cuore dell'umanità.

Che John si gloriasse di essere più famoso di Cristo e ritrattasse pubblicamente solo perché costretto dal suo manager e nell'interesse commerciale del gruppo, o che invece, fin dall'inizio la sua non fosse altro che una constatazione, forse anche dolente, non è tanto importante decidere in qualità di beatlesiano, ma di uomini e donne.

Sono stati quelli anni in cui giovani sono nati, anche per salvare i loro padri, per riscattarli dall'oscurantismo della meccanicità e del sonno.

L'urlo è il simbolo giovane (agli spettacoli dei propri artisti preferiti, sulla tela di un pittore come Munch, in una manifestazione politica...)

Si urla per prevalere sul chiacchiericcio, per farsi sentire da più persone, si urla per espellere i demoni della demotivazione e della noia.

La generazione acida e fumante, prima ancora di quella disperata e eroinomane, è stata una generazione sperimentale che ha ingigantito dentro di sé i fantasmi nascosti del passato. Contraddizioni e morti, violenze, prepotenze, ma soprattutto incoscienze, ovvero inconsapevolezze e colpe.

Le generazioni precedenti avevano consegnato un mondo colpevole, ma ignaro di sé e quindi paradossalmente innocente. Mentre l'aspirazione all'innocenza aveva svegliato un'intera nuova generazione e in quel risveglio si era trovata sulle spalle, oltre al peccato originale imputato all'intera umanità dalla Chiesa cattolica, anche le colpe dei padri addormentati.

La rivoluzione della cultura giovanile... beat prima, in maniera un po' privata... rock, dopo... in maniera più disperata e violenta, con una magnifica intuizione si è ritrovata a confrontarsi con le colpe e l'aspirazione alla libertà. Libertarismo individuale e/o delle nazioni da un lato e repressione culturale e politica, regimi autoritari, dall'altro e, dallo scontro tra questi due fronti, guerre di ogni tipo, ogni fazione contro ogni altra, mentre sui palchi, ai concerti, si alternano artisti senza più parole (che non siano di morte), senza gioia di vivere. Ci si accontenta di imbonitori, di impiegati della musica, di professionisti dell'entertainment.

Ma già, stavo raccontando dell'isola di Wight nel 1970, e mi sono persa per strada. Dalla piccola provincia, dai suoi riti e dai suoi miti, dalle poche idee ben stagionate che frenano e tentano di dissuadere ogni deviazione, uscire su un campo sconfinato di 100.000 persone d'ogni razza e colore, religione, cultura per due tre giorni a contatto di gomito e di tenda è un'emozione primaria che è sicuramente già impressa nel nostro DNA come esperienza dei campi di battaglia del passato, delle riunioni di folle nelle piazze, dei grandi raduni.

A essere lì, dentro ti s'incrina qualcosa e ne sei felice, si scardina tutto un sistema di credo, un'abitudine che ti è stata consegnata. Respiri a polmoni allargati, pensi con una mente dilatata, ma soprattutto senti nel cuore un'emozione grande che a volte provavi da bambino, ma era sempre un'esperienza solitaria e a volte per tale motivo un po' frustrante. E ti si ripresenta lì, rinnovata, condivisa, allargata. MAGNIFICA.

John la sentiva di sicuro di fronte al miracolo che il suo sogno di riscatto dalla solitudine affettiva e dalla mediocrità culturale della famiglia in cui era cresciuto aveva evocato, con il successo dei Beatles, le folle urlanti negli aeroporti, ai concerti, nelle trasmissioni televisive. D'improvviso si trovava a confrontarsi con ciò che appare più grande, più numeroso, e più forte di noi. La sua risposta era no, non siete più grandi di me. Dentro sento una grandezza ancora maggiore, che è anche disperazione e dubbio supremo (una sacra irrequietezza l'ha chiamata il nuovo Papa Benedetto XVI), la voglia di urlare un sì che nemmeno conosco.

Anche John è stato ed è ancora un pietra miliare sul cammino delle generazioni: "Prego da questa parte!" Immaginiamo insieme, dice Lennon... E l'idea chi gliel'ha fatta venire? La sua compagna giapponese. L'est che dà un'idea all'ovest, che la potenzia e la celebra. Usiamo la mente per immaginare e arrivare... qual'è la meta?

Dove staremmo andando? Lennon diceva, e lo prendo a simbolo di un paio di generazioni almeno, diceva: " non sono che un cantante... neanche tanto bravo come musicista. È il mio istinto. Non sopravvalutatemi, non voglio vivere nella prigione delle vostre aspettative. Lasciatemi in pace. Lasciatemi libero. Siate liberi. Almeno provateci. Siate gli artisti della vostra vita... l'esortazione a una rivoluzione individuale, ma non egoista. Come si fa a risolvere questo problema? Se penso a me, solo a me, sono egoista e dimentico chi è dietro, ma Lennon dice... “mi piace scrivere gli inni...” e se avesse potuto avrebbe scritto anche quelli nazionali. È certamente riuscito a scrivere molti inni all'amore terreno, all'amore per la madre, per la donna, per i poveri, per gli oppressi, ha persino nuovo campo di Natale (so this is Christmas and what have you done...?); l'inno alla mente e a un uso funzionale e meritorio delle idee e dell'immaginazione; (testo di imagine), fino alla sua grande intuizione..... il più sussurrato dei suoi urli... ho trovato la soluzione... dentro ho tutto. Dentro tutti hanno tutto, che lo sappiano o no, che gli interessi o no. E allora, se penso a me e mi rispetto quasi come qualcosa di sacro, di magico, che non conosco bene, se canto con tutto me stesso anche il più banale dei miei privati, sto cantando per tutti. Sto andando oltre me stesso, oltre l'egoismo. E se questa piccola-grande dicotomia può essere superata dall'equazione esterno= interno, allora perché non provare nuove sintesi, come un esercizio artistico, come una ginnastica della mente, come una preghiera?

Già, perché Give Peace a Chance è solo una scheggia della nuova bomba che si è innescata. Viviamo in un mare di contraddizioni e di guerre, disastri, cataclismi, povertà e morte, ma, nonostante che l'occhio veda e la mente sembri sapere, nonostante o forse grazie a tutto ciò, noi sogniamo una nuova realtà. Interriamo i semi del nostro futuro. È un vero pellegrinaggio al santuario; siamo tutti diretti a onorare il grande Papa morente, che ha osato chiedere alla folla radunata: " cosa siete venuti a fare?" E questo che dovete chiedervi e sapere. Non è più tempo per turismi inconsapevoli. Che cosa stiamo piangendo? ...o forse rimpiangendo?

Certo anche John Paul II si è trovato a coniugare l'uno e il molteplice, se stesso e le sue umili radici, una cultura limitata, una tradizione politica repressiva, con gli umori, i terrori e le estasi delle grandi folle. Da umile operaio polacco a umile operaio del Signore, applaudito da mezzo mondo (o forse qualcosa di più di metà, come al tempo fu per un gruppetto musicale di Liverpool)

Quel Papa è, per molti di noi, prima ancora che una persona, qualcosa dentro. Rappresenta le possibilità che abbiamo di operare nel nostro quotidiano, con ostinazione, pervicacia e coraggio, non piangendoci addosso e non fermandoci di fronte al dolore, fisico, psicologico o emotivo che sia.

Con la morte alcuni uomini diventano più grandi, e nasce un vero e proprio culto, perché la loro idea può volare ancora più alta, libera da ogni dubbio che la loro vita può evocare negli altri. È stato così per Gesù Cristo, per Lennon, per Papa Woityla (e molti altri). Non c'è nessuna bestemmia in questo mio pensiero. Non si tratta di confondere sacro e profano. Santi e drogati. Religiosi e edonisti. Divinità e profani.

È proprio questa la novità. Abbiamo tutti tutto dentro di noi, anche se su questa scala, che va dalla terra dell'indifferenza al cielo della creatività e dell'amore, ciascuno sosta, per un attimo o per tutta la vita, su scalini diversi.

Mi meravigliavo di non sentirmi più troppo attratta dalla musica. Credevo fosse un fatto legato all'età, ma nei giorni della morte di Giovanni Paolo II sono stata insieme a molti affascinata da questa nuova manifestazione straordinaria della coscienza.

Soffre un uomo anziano, che ha dato quanto poteva agli altri; muore un uomo malato. Non ha importanza che sia proprio lui, John Paul the Second, ha importanza il contraccolpo che il corpo sociale subisce e ancora una volta e finalmente -era ora!- di nuovo i giovani escono a " testimoniare".

Ma cosa significa? È il linguaggio della fede che si afferma né più né meno di come è successo negli anni 70 per il linguaggio dell'esperienza delle droghe, leggere o pesanti che fossero, e del rock, oppure è un gradino che tutti insieme ci accingiamo a salire, chi come guida, chi come intrattenitore, o tutore, chi come avanguardia, chi come retroguardia?

Cambiamenti epocali. Piccolissimi crack interiori, capaci di muovere folle sconfinate e, quel che più importa, capaci di raggiungerci dentro, personalmente, come un virus positivo, eversivo, curativo.

La gente è sorpresa di se stessa, di quello che riesce a sentire. Siamo turbati da brividi di amore, proprio quando temevamo di essere sulla soglia del nulla.

Il tutto ci occhieggia beffardo e ci sorprende, e dentro si mischiano i versi dei Beatles "She loves you- ye ye ye ye" con quelli del Papa :" John Paul II loves you" e non solo. Cambiano le priorità. La valenza delle cose. La libertà acquista significati molto diversi: non è tanto libertà da questo e da quello, ma libertà di fare, di essere, di sentire, anche a costo di sacrificare l'istinto e la visione sensuale e consumistica della vita. Non è forse questa la testimonianza delle folle ai piedi della bara del Papa?

Intervistati, moltissimi rispondono: " essere venuto qui è il mio modo di dire grazie ". Strana considerazione in tempi accusati di materialismo. Come sarebbe a dire? Fai un viaggio, uno sforzo fisico, materiale, come regalo ad una persona morta? Cosa stiamo tutti dicendo, senza accorgercene?

Ho capito che il sacrificio dei miei istinti, nel caso delle nazioni si potrebbe dire degli egoismi nazionali, in nome di un sentimento ideale, di qualcosa di invisibile e addirittura non più umano (almeno nel senso fisico) è il vero modo che è ho non solo di dare a tutti gli altri, ma anche di prendere dal tutto.

Un sacrificio di sè che ognuno deve capire cosa significhi per lui, nelle sue possibilità, nella sua esperienza, un sacrificio che non è più quella cappa repressiva, quel evitare senza sapere perché, senza credere. Non è più quella concezione ingessata della vita che i figli ricevevano dai padri e contro cui è scoppiata negli anni '60 la rivoluzione hippie, nei '70 quella rock, negli '80 quella yuppie e nel '90 quella “politutto”: polietnica, policulturale, polimorfa, policroma... politica!

Qui il sacrificio è unito alla gioia, decantato dall'autovittimismo.
Denso di sogni e foriero di nuove sintesi. I pellegrini convenuti a Roma a salutare il Papa che moriva siamo noi tutti: corpi della società, cellule di un solo Corpo Planetario, emissari di Cristo, Buddha, Allah..., manifestazione molteplice di ogni unità primaria. Giovanni e Paoli del Nessun Luogo, dell'Ogni Luogo, dell'Unità.




Uri Geller Lennon's Alien Egg

Interview with Uri Geller

Fiorella Dorotea Gentile: "Uri, how would you synthetically introduce yourself? Should you describe your up-till-now journey with few words only, which ones would you choose?"

Uri Geller: "I am an explorer of the mysteries of the mind and the universe."

FDG: "You met John and spent some time with him. In your opinion, who was John Lennon? Was he happy or sad at that time?"

UG: "John Lennon was a genius of music and spirituality, and content with life."

FDG: "Which is your opinion on Peace? Is it the same than John had?

UG: "Yes, world peace, universal peace and inner peace. I wrote a piece on John, it’s on my web site, you may use it on your site until further instructions, love Uri"

FDG: "Thanks, Uri, I'm goin' to post it. The best luck for your life, for our lives


Excerpt from www.uri-geller.com

"...Uri's new life in New York, on the corner of East 57th Street and First Avenue, was every inch the celebrity whirl. At a party given by Elton John, he met John Lennon, and the two immediately clicked. They arranged to meet again in the coffee shop of the Sherry Netherland Hotel on Fifth Avenue, and made this a regular date. They talked about paranormal, spiritual matters, Sai Baba, a popular Indian guru Lennon was interested in (and who performs a number of Geller-like effects for pilgrims who come to see him from around the world) and UFOs. A few weeks before Lennon was killed, and the last time Uri and he met, he told Uri an amazing story.
He explained how he had been lying in bed in the Dakota Building where he lived, when he saw an exceptionally bright light seeping under the bedroom door. He told Uri he thought someone had aimed up at his apartment an outdoor floodlight of the kind used at film premieres. He got out of bed, he told Uri, opened the door and saw the source of the light was actually in the next room. Lennon then felt something touching the back of his knees and his elbows and urging him into the light. 'I asked him obviously whether he was drunk or on drugs,' Uri relates, 'but he insisted he was perfectly awake and aware and had not taken any drugs. In the middle of the light, he said, he saw a hand stretched out. He described it as, "a typical alien hand," like the ones you see on science fiction books, and it held something. He knew intuitively that the hand wanted to put something into his, and he held his hand out. Then everything turned off, the light went off, the room was clear. And he found himself standing there with this egg-shaped, brass-type lump of metal in his hand. And then John put his hand in his pocket and said, "Uri, I want you to have this.". It was as if he felt he was going to be killed and wanted someone to have this thing who would know where it came from and would believe him and look after it.'
Uri keeps the smooth metal object today in the hands of a 16th Century Tibetan brass statue in his house. The little piece of metal is certainly quite unusual, rather heavier than its size suggests, but for those anxious to know what it is, Uri is unhelpful. 'I purposely don't want to have it analysed because I don't want to be disappointed. I don't want someone to come up with a story that it's made in Korea. I'd rather leave it mystical,' he says..."





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